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AL BROCON COL CAGIVON PART III: Chi la dura

Aperto da alves, Novembre 03, 2006, 12:11:24 PM

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alves

AL BROCON COL CAGIVON PART III
...la vince!

Il sole tinge di un arancio chimico da CO e polveri fini la piacevolmente fredda aria di un mattino ottobrino di metà settimana. Mentre il mondo si mette svogliatamente o con energia in attività, io rubo un giorno al lavoro, alla casa, a tutto, per portare a compimento quella che ormai è una missione, se non una ossessione: col Cagivon salire al passo Brocon, misconosciuto valico trentino ai più, ma assai più conosciuto nel giro dei malati di fuoristrada, causa lunga sterrata che lo raggiunge dal Veneto.


Si riparte verso il Brocon!

Ricapitolando i primi 2 tentativi, entrambi erano andati a vuoto causa foratura della gomma posteriore, dovuta in ambedue i casi alla durezza del fondo stradale dell’Altipiano che, in combutta con la mia guida aggressiva e potente da vero enduro-man, aveva messo alle corde il mezzo meccanico…o più probabilmente era stata colpa della sfiga nera che mi perseguita!
Comunque fosse successo, il tempo perso in riparazioni on the road mi aveva impedito di raggiungere il Brocon; al primo tentativo non ero riuscito neppure ad uscire dai confini del veneto Altipiano, nel secondo avevo raggiunto il Col Perer, ma vista l’ora ero stato costretto a ripiegare proprio quando stavo per giungere al Brocon!
Ma al terzo tentativo niente mi avrebbe fermato.
Poiché sono un megalomane esagerato psicopatico, non potevo andarci, sotto al Brocon, per asfalto come farebbero i più savi; io voglio e devo farmi tutto il viaggio il più possibile in fuoristrada: i 7 Comuni mi hanno menato sfiga per 2 volte di seguito? Ed io cambio montagne, e mi dirigo verso la Valsugana percorrendo un lungo giro in senso orario, per gli altopiani di Tonezza Fiorentini, Folgaria e Lavarone.
La ricetta è la stessa di sempre, unire 3 grandi mie passioni, la moto fuoristrada, la montagna e la storia; gli ingredienti pure: il Cagiva 750, le sterrate in quota e le fortezze della 1° guerra mondiale.

Bastano pochi km per lasciarmi alle spalle il nero e triste asfalto, ed immergermi nella fatata suggestione della guida fuoristrada; l’autunno, nel pieno del suo decadente splendore, è affascinante in moto: sulla cavedagna che costeggia le campagne di fondovalle si alza ancora un po’ di polvere al mio passaggio, ricordo dell’estate assolata e siccitosa da poco conclusa; ma l’erba dei campi e fra le ruare lasciate dai trattori è umida di rugiada notturna, basta un millimetro di troppo sull’acceleratore che i grossi tasselli delle T63 scivolano come pattinassero il ghiaccio!
Il sole è ancora basso sull’orizzonte, le lunghe ombre delle montagne ancora indugiano sul fondovalle, mentre prati a maggese si alternano a agri già diserbati  e gli ultimi campi di granoturco rinsecchito attendono la definitiva cesoia delle macchine agricole, a chiudere il loro ciclo di vita.


In fondovalle


I ponti della vecchia ferrovia segnano il confine del paese di Arsiero

Dove la vallata si restringe, e le montagne dei 2 versanti scendono basse fin quasi a toccarsi, una muraglia di pietra ed archi racchiude il paese di Arsiero: è ciò che resta della  ex-ferrovia Rocchette-Arsiero, smantellata negli anni 60. Adesso è uno splendido rettilineo sterrato di oltre 7 chilometri, fra boschi e campi, con tratti scavati nella roccia e ben 2 ponti e 3 lunghe gallerie;
Per tutti gli anni 90 su quel rettilineo abbandonato (e pure trasformato in discarica in un punto!)  abbiamo lanciato, assieme al vecchio compagno di scorribande Ru, a manetta i nostri “potenti mezzi”, Cagiva 125 e Laverda Chott 250, XR600 e Gilera 125; spettacolare quella volta che Ru, entrando a manetta nella galleria, si trovò di fronte allineati una mezza dozzina di mountain bike: per poco non mancò lo strike!
Purtroppo quella che era la mia via maestra per inoltrarmi nella Valdastico in seguito venne a mancare, infatti con un modico stanziamento di 700.000.000 £ della Comunità Europea, o della regione, la ex-ferrovia venne trasformata in pista ciclabile con staccionate, panchine e lampioni e pubblicizzata a tutto il mondo: sicuro guadagno per le famigliole in gita, grave perdita per i fuoristradisti locali.
Certo che quelle imponenti arcate la loro figura la fanno…

THE FABOLOUS RIOFREDDO ROAD

OK, si prosegue senza rimpianti.
Ora entro nella parte più profonda delle convalli dell’Astico, luoghi che stanno per sprofondare nel lungo letargo invernale, sotto il freddo manto della neve e del ghiaccio; ci sono borgate, pendii, zone che da novembre a febbraio non ricevono un raggio diretto di sole, nascoste come sono dalle incombenti pareti rocciosi che serrano la valle.
La mia ascesa avviene lungo il Riofreddo, sterrata militare costruita negli anni 10 del secolo scorso, a servizio delle fortificazioni sul confine, in primis l’incompiuto forte Campomolon.
Mi diverto a prendere in giro l’amico di enogastroendurate Juha, che ogni volta che si muove in moto deve passare di qui, ma c’ha ragione lui!
Sono 15 anni che vado su e giù per questa sterrata, con ogni mezzo e con ogni compagnia: 125, XR600, Elefant 750, XR400, compagni di enduro duro, fratellone col mio ex-125 improvvisati amici con vespe o vecchi rottami appena appena marcianti; pure la famiglia ci ho portato a fare il pic-nic, col 4x4 scroccato ai miei.


Riofreddo vintage: cowboys sul Toraro


Riofreddo vintage: la mia compianta XR600…

Ad un bivio un grande cartello, indica la direzione: mi ricorda uno spoglio albero rinsecchito, il tronco, i possenti rami centrali, la miriade di ramoscelli periferici; la selva di nomi farebbe pensare a tutto un mondo presente lassù, e forse una volta esisteva veramente; ora sono solo fantasmi di contrade disabitate, a parte qualche ostinato e solitario montanaro che resiste; sono nei fine settimana le vecchie case si rianimano con l’arrivo di vecchi e nuovi villeggianti.
Purtroppo il vecchio cartello è affiancato da un più recente e minaccioso cartello che preannuncia divieti di transito a monte…che rabbia, che dolore, perché? 


Non trovate la direzione giusta? (foto by Profeta dell’Enogastroenduro)

la strada asfaltata sale con apparente noncuranza i primi lievi pendii di fondovalle, ma il manto stradale, grattato, rugoso, segnato da buche e spaccato da crepe, ricoperto da infido breciolino, fa capire che la strada non conduce in luoghi frequentati.
Si prende quota lungo l’asfalto per diversi km, tanto che, quando vedi il fondovalle minuscolo laggiù in basso, ti viene da creder che sei quais arrivato in cima, invece il divertimento sta per iniziare!
La vasca di una provvidenziale fontana, l’ultima contrada ti segnalano l,’inizio dello sterrato; è una larga strada bianca, non troppo pendente, perfettamente carrozzabile. Il tracciato si srotola sulle aspre pendici del monte Tormento, un tozzo monolite cilindrico di roccia calcarea; in alcuni punti la strada è letteralmente aperta nel fianco della montagna, scafe di roccia si protendono sulle teste dei passanti.
Poi, con alcuni tornanti serrati l’uno all’altro, la rotabile scollina fra i pascoli delle prime malghe (vedi foto cowboys); il fondo si fa più duro, compaiono buche e scaglie di roccia più temibile per le camere d’aria.
Si entra nel bosco di abeti, si sale, si sale, si supera il bivio per la strada della Cuccà, il fondo peggiora, grossi sassi dove la ruota anteriore scarta, le ultime malghe e un cartello rosso cerchiato sulla direttissima per il Campomolon, ma con la dicitura sotto “Escluso sabato e domenica”! Incomprensibile: perché non si potrebbe passare qui durante la settimana? Di sicuro il grosso del flusso veicolare, e il conseguente, terribile, tremendo, orribile inquinamento che sta uccidendo il globo terraqueo, avviene nel W-E: sarebbe più logico il contrario, vietare nel W-E, e lasciare che boscaioli e malgari abbiano libero accesso in settimana…
Però ora io sono qui proprio in giorno lavorativo, che faccio? Me ne frego, e vado avanti! Ma nemmeno un km dopo scorgo un’auto ferma; è civile, potrebbero essere boscaioli, potrebbero essere altri come me che se ne fregano del divieto, ma potrebbero anche essere ufficiali pubblici con auto senza livrea ufficiale…in una ruota di bestemmie giro il ferro e torno verso valle, per la prima volta in 15 anni temendo una multa in questa strada: sono triste!
Ridisceso al bivio di Val Cuccà, anche lì trovo il divieto, senza eccezioni; tiro avanti, per l’ardita strada tracciati sotto i ghiaioni del Toraro; incrocio i mezzi di alcuni taglialegna, ma non vedo le persone.
Cosa ancora più assurda, quando la strada abbandona le strapiombanti pareti sul Tovo per entrare nei pascoli dei Campiluzzi, il divieto termina!
Perché? Forse strada pericolosa? Forse lavori di manutenzione? Forse chiusura per l’inverno?
Sul retro della tabella l’ordinanza comunale, mi piacerebbe investigare…


Val Cuccà nell’esplosione di colori autunnale…sappiatelo, ora qui è vietato!

Percorro l’ampia valle dei Campiluzzi ad andatura moderata, concedendomi solo un paio di strappi nei rettilinei più lunghi; le malghe sono chiuse, le bestie già scese in pianura, i cancelli dei rispettivi pascoli aperti, evitano il fastidioso gioco estivo dell’apri-chiudi cancello.
C’è nell’aria un senso di sospensione, di interludio tipico dell’autunno in alta quota; fino a 2-3 settimane prima la valle risuonava dei muggiti e dei campanacci delle vacche brade, delle grida e bestemmie dei malgari, del ronfare dei generatori diesel delle malghe, ogni tnato dell’assolo cupo di qualche monocilindrico a 4T o del sibilo di fulminei 2T…ora c’è silenzio, solitudine, il cielo spento e scuro potrebbe scaricare un metro di neve fra 10 giorni come fra 1 mese, e qui la neve dura, fino anche a maggio! Potrebbe essere l’ultima escursione in zona per molti mesi a venire…
Ulteriore conferma di ciò, la strada provinciale di passo Ce, già palinata con le alte pertiche giallo nere: anche se la strada porta alle squallide stazioni di sport invernali, la mia fantasia corre verso le piste del Grande Nord raccontate da Jack London, mi immagino l’avanzare di una slitta trainata dai cani sulla incerta pista fra le foreste del Klondike…


Paline in attesa della neve

Alla mia sinistra i ruderi della vecchia base NATO, in disuso da decenni: hangar, piccoli edifici, gibbosità del terreno che alludono ad ambienti sotterranei.
Ma il pezzo forte era la postazione in vetta al monte Toraro, 1900 m.s.l.m.; nelle prime visite che feci agli inizi degli anni ’90 aveva un aspetto devastato peggio dei forti del 15-18.
Si arrivava in un ampio piazzale, su cui sorgeva la caserma, dal cui interno si accedeva ad una serie di tunnel, scavati proprio sotto la cima del monte, che conducevano a dei pozzetti, che mettevano in comunicazione con delle pedane in cemento poste in vetta, forse le piste di lancio dei missili o le basi dei radar: mistero?
Un luogo non carico di storia e fascino come le fortezze della Grande Guerra, ma pur sempre degno di interesse.
Ora non esiste più: nel 2002 tornai lassù col mio ex-compagno di università Nicola, ma della base non c’era più traccia, rimaneva solo la strada asfaltata che termina in cima la monte, dove si distingueva appena le basi delle piste di lancio.
Caserma, garitte, piazzale, tunnel: tutto demolito e perdipiù ricoperto di terra e sassi: sembrava incredibile raccontare al mio amico veronese che fino a pochi anni prima li c’erano edifici e opere militari! Una sparizione degna di X-Files, operata dagli Uomini in Nero per occultare le prove dell’esistenza degli alieni o di qualche losco affare del governo: più prosaicamente una bonifica ambientale veramente radicale, ma mi dispiace , il luogo aveva un suo fascino sinistro!
Ma sono altre le fortezze che mi piacciono veramente…


Ex base N.A.T.O. passo Coe


Ingresso postazione Cima Toraro, primi anni 90


Ex caserma Cima Toraro, primi anni 90

LE SENTINELLE DELL’IMPERO II°: Il SOMMO ALTO E IL COMANDO AUSTRO-UNGARICO

Superato il deserto passo Coe, la strada scende verso i tristi siti sciistici di Fondo Piccolo e Fondo Grande di Folgaria, ma per fortuna la abbandono per la pista sterrata che taglia diagonalmente le piste da sci e raggiunge il passo del Sommo, all’altra estremità dell’altopiano di Folgaria.
Un inaspettato cartello di divieto di accesso per lavori in corso bloccherebbe il passaggio: possibile che ogni volta che mi muova abbia qualche rogna sul mo cammino? Oltrepasso deciso il cartello, percorro poche centinaia di metri e sfilo a lato di un enorme sbancamento per la costruzione di un collegamento fra piste da sci; una ruspa sta consolidando la strada, ridotta ad un cumulo di ghiaia e terra; mi butto dentro queste whoops crossistiche, il cagivone quasi si pianta fra le pietre ma non so come ne esco, e felice proseguo.
Ma è breve la vita felice di Alves: poche centinaia di metri e l’ennesima ruspa che sta dragando la montagna mi blocca; il guidatore mi vede, a gesti gli chiedo di passare, ma mi fa capire che è impossibile: merda, merda, merda!!! Sono in trappola! Non so se riesco a riattraversare il precedente cantiere, e il pendio del monte è a 45°, impossibile fare fuoripista. Per fortuna mi accorgo di un tratto di collegamento fra le piste da sci che prima non avevo visto, piratescamente risalgo col 750 l’immensa stradona verde fino alla vetta del Sommo Alto, 1.614 m., dove mi fermo a visitare la fortezza.
Il forte Sommo Alto è una delle tante opere austriache della cintura dei forti, arroccato come un castello medioevale sulla affilata cresta che guardava, allora, verso l’Italia.
È un’opera più piccola delle altre, si direbbe un anello di congiunzione tra le imponenti fortezze del Dosso del Sommo e del Cherle: il Sommo costituito da un unico blocco che fungeva da batteria e caserma, aveva solo 2 cupole corazzate, armate con gli obici da 100 mm, rispetto alle usuali 4 dei colleghi. Quello che lo rende assolutamente interessante è l’esteso complesso sotterraneo: dall’edificio principale lunghe gallerie sotterranee portano a piccole casamatte corazzate per mitragliatrici e piccoli cannoni, sparse nel pendio circostante il forte.
Armato di torcia elettrica, mi calo nel tunnel principale, che inizialmente scende a mo di rampa, col pavimento piatto, poi la pendenza accelera bruscamente e comare una infinita serie di gradini all’interno della galleria ogivale. La galleria è lunga 170 m., nel suo mezzo non si vedono più le estremità; erano piccoli gli austriaci, la volta non arriva ai 2 metri; mi immagino i Kaiserjager correre lungo questa rampa, i colpi dell’artiglieria italiana giungere attutiti dallo spessore del suolo.
Il tunnel mi ispira anche un ricordo molto meno epico ed eroico, un cartone animato che amavo da ragazzino, “Conan il ragazzo del futuro”, forse qualcuno lo ricorda, quella storia ambientata in un futuro post III guerra mondiale, dove i poche sopravvissuti vivevano nei cunicoli sotterranei della orrenda isola di Indastria, simili a questi in cui mi trovo…


Forte Sommo Alto, 1.614 m.


Le vuote orbite del forte


Le cupole


Nei meandri del sottosuolo

Al fondo del tunnel, piccole strutture corazzate emergono dal sottobosco, simili a dorsi di balene nel mare: come i grandi cetacei appena si intravedono sotto il pelo dell’acqua, il dorso, una pinna, una coda, queste fortezze non si colgono nella loro interezza, ma si vede la il biancheggiare della muratura, qua il nero vuoto di una feritoia da mitragliatrice.




celate dalla vegetazione, opere corazzate fuoriescono dalle viscere della terra

Soddisfatto del bottino di emozioni e foto, riprendo la mia Cagiva e scendo verso il rifugio Stella d’Italia; anche qui operai e scavi a tutto spiano, mentrel nel tratto finale della discesa verso il passo del Sommo incrocerò nuove, immense piste da sci: quanti alberi, quanta terra è stata rivoltata e piallata per il divertimento degli sciatori?
Anch’io praticavo gli sci da discesa, ho smesso per forza maggiore (lavoro, moto, famiglia e non ultimo i costi spropositati) non certo per presa di coscienza; ma non posso fare a meno di essere disgustato, forse ipocriticamente, di questo carosello degli sport invernali! La mia motina, che fa un po’ di rumore, smuove 4 sassi e una nuvoletta di polvere, è vista come il demonio, il supremo attentatore e distruttore della natura, da sbarrare ad ogni costo con divieti, stanghe, multe; questi signori dello sci, per attirare moltitudini  di sciatori che bruciano milioni di litri di diesel e benzina lungo le montagne, che producono tonnellate di spazzatura nei bar rifugi a bordo pista, non esitano a tagliare boschi e livellare montagne…è un mondo gramo, molto gramo!
Questi malinconici pensieri mi accompagnano attraverso l’altipiano di Lavarone, dove un termometro a muro segna un lusinghiero 6°, alle 10.30 del mattino.
Prima di calarmi in Valsugana breve sosta per visitare il Comando Tattico Austro-Ungarico di Settore di Virti,  il complesso sotterraneo che coordinava l’azione delle fortezze imperiali.
Al margine della strada asfaltata una mulattiera entra nel bosco misto di conifere e latifoglie, la massiccia struttura della mulattiera militare affiora a tratti nell’humus del sottobosco, poi si costeggia una parete di roccia, che all’improvviso si apre come il sipario di un teatro, e laggiù in fondo, sul palco, appare una struttura di colonne ed archi, un tempio perduto nella profondità della foresta.
Sulla parete del canyon ampie e profonde gallerie penetrano nella roccia, dove c’erano le centrali telefoniche del fronte; 90 anni fa qui era un ribollire di militari, me li immagino i soldati semplici al centralino, infilare e togliere spine nei quadri elettrici per mettere in comunicazione le fortezze, i portaordini in bici, cavalli o moto in attesa di messaggi, lo stato maggiore chino su mappe e rapporti a preparare la prossima mossa contro l’Italia


Comando Tattico Austro-Ungarico di Settore


Le gallerie


Alberi e muschio crescono in quello che fu il comando dei “Signori della Guerra” austriaci

VERSO IL COL PERER

Ora basta divagazioni storiche, che il Brocon altrimenti mi scappa!
Attraverso rapidamente un altopiano di Lavarone chiuso per ferie, nell’intermezzo autunnale fra stagione estiva e sciistica, desolato come una Belgrado sotto i bombardamenti NATO, corro veloce fra le immense abetaie verso il passo Vezzena. In località Monterovere mi fermo per un panino, poi imbocco la Direttissima per Caldonazzo, la “Kaiserjagerstrasse”, più prosaicamente la SP133, già percorsa nel BROCON II.
Stavolta però con una piccola deviazione, l’ultimo scampolo della antica mulattiera di guerra:


Di lassù son sceso…




…ma laggiù ho ancor da arrivare!

In fondovalle imbocco la superstrada Valsugana in direzione Bassano; 20 km che scorrono veloci fino a Grigno, senza nessuna emozione, a parte il tentativo di sorpassare un tir, abortito all’ultimo istante per pattuglia della Stradale in appostamento!
Da Grigno la mappa indica una strada che sale direttamente a Castel Tesino; la situazione non è chiara: su alcune carte è segnata addirittura chiusa al traffico, altre riportano le indicazioni di strada chiusa in periodo invernale.
Per mia fortuna è aperta ed anche molto bella: un nastro d’asfalto perfetto che percorre le pareti di uno spettacolare canyon, alternando lunghi rettifili, tornanti, curve a gogo.


Da Grigno a Castel Tesino

Di nuovo in Tesino, prendo la direzione del Celado, un monte-altipiano oblungo che si raccorda al Col Perer; altro bel percorso di montagna, sui 1.400 metri, fra pascoli e abetaie.
Si avvicina il mezzodì, sicuramente stavolta ce la farò a raggiungere il Brocon, sono in anticipo di circa 4 ore rispetto al tentativo precedente, tutto procede OK, mezzo, pilota, tempo! La mia corsa raggiunge Cima Campo, dove sorge l’affascinante forte Leone.
Mi fermo a sgranchire le ossa, ma vedo il parafango del 750 inclinato, troppo inclinato! Rapida ispezione e subito balza evidente agli occhi la causa: si è spezzato, DI NUOVO, il telaietto posteriore porta bauletto, ed ho pure perso dei bulloni!
Che palle! Che palle! Che palle! Che palle! Che palle! Che palle! Che palle! Che palle! Che palle!
E vai di dadi e controdadi, tira stringi, blocca, controlla, in qualche modo fisso il traballante ferraccio, ma dovrò trovare una solusione radicale alla debolezza del porta bauletto: che so, potrei farci un accrocchio con una putrella ferroviaria, qualcosa di solido solido… 
Dopo mezzora di lavoro, quasi quasi mi vien voglia di entrare di straforo nel forte e visitarlo, ma mentre studio dall’alto di un dosso la struttura arrivano degli operai e si chiudono deltro al forte, a riprendere i lavori.
Lascio perdere, e scendo verso il Perer, non mancando di fare l’anello del forte Cima di Lan.
Ora mi aspetta il Brocon, e niente e nessuno me lo impedirà!


Il Celado


Ristrutturazione al Forte Leone di Cima di Campo…


…e riparazione al telaietto del mio Cagiva, azzarola!!


Di nuovo al Col Perer, termine del mio Brocon II

LA PASSERELLA DELLA PAURA

Un cartello stradale con indicante la località “Carbonera” segna la mia direzione: è una piacevole sterrata dal fondo terroso ma compatto, che segue le ondulazioni del pendio rimanendo a quota costante, immersa quasi sempre in una fitta foresta di conifere.
Giunto ad una radura con un trivio, nei pressi di una casa forestale, imbocco la sterrata che scende verso la valle del Senaiga, sul cui fondo c’è l’omonimo bacino artificiale.
C’è un primo tratto di discesa dove la strada corre sul filo di un crinale, col pendio su entrambi i lati; poi perde quota con numerosi traversi, sempre immersi nel bosco, raramente si attraversano radure con qualche solitaria baita e fienili conici a punteggiare i rari prati.


La valle del Senaiga, la in fondo c’è il Brocon

La lunga discesa prosegue nella maestosa foresta; ad un bivio, la sterrata prosegue a quota costante, tagliando il pendio, in direzione dello sbarramento artificiale; in direzione opposta un ramo continua la discesa verso il lago, lago che non appare mai: ma quanto è profonda questa valle?
La strada diventa mulattiera, poi si restringe ancora a poco più di un sentiero, il pendio è ormai verticale, un sicuro corrimano in ferro protegge il viandante dal precipizio; fra le propaggini degli alberi biancheggiano le pareti di roccia calcarea dell’altro versante del lago, e finalmente appare la massa di liquido verde giada laggiù, in fondo a tutto, insinuata e diramata fra le vallecole create dai torrenti.
Mentre ammiro estasiato lo spettacolo della natura sento un lento rumore di monocilindrico a 4T in avvicinamento, attendo qualche istante e mi viene incontro un distinto signore di mezza età dal pizzo bianco, in sella ad una quanto mai appropriata Beta Alp 350; mi degna di un breve cenno e continua per la sua strada, mentre io proseguo verso il ponte che avevo intravisto dall’alto; e che ponte!!
Si scende fino ad una minuscola piazzola, sufficiente però a permettere  l’inversione di marcia a i deboli di cuore e ai sofferenti di vertigine; c’è un provvidenziale capitello a cui votarsi, di fronte una passerella di metallo, larga poco più di un metro e lunga 50? 60?, sospesa a 2 cavi d’acciaio nel vuoto, ad almeno 20 metri sull’acqua immobile del lago.
Dei cartelli semi cancellati incutono terrore al viandante:”Divieto di accesso di qualsiasi mezzo motorizzato comprese macchine agricole! Massimo carico uniformemente distribuito 25 kg al ml! Massimo carico concentrato….20…!”
Urca! Fra me e la moto sono 3 quintali in poco meno di 2 metri di interasse: se quella passerella avesse un cedimento strutturale proprio durante il mio passaggio? Finirei negli abissi assieme al Cagiva! E non mi consola vedere che è appena passato l’Alp, quella moto pesa 70 kg in meno della mia… 


Nel bosco

A passo d’uomo entro nel ponticello, con la stessa sensazione che provavano le vittime dei pirati dei carabi costrette a camminare sulla passerella sopra ai pescecani; i corrimano sono talmente vicini che un pedone farebbe fatica a starci, di fianco alla moto, per fortuna sono molto alti per cui non c’è rischio di scavalcarli in caso di caduta; una particolarità poco gradita è data dal camminamento del ponte, fatto di assi di acciaio dentellate che, se da un lato danno un’ottima aderenza, dall’altro si incastrano nei tasselli delle ruote: pare quasi che il ponte trattenga la moto, aumentando il cagotto del pilota! In pochi interminabili secondi sono dall’altra parte, incolume:  F AN T A S T I C O !!!


Il lago artificiale del Senaiga




La passerella tibetana


Terrorismo psicologico

E FU FINALMENTE CAGIVON SUL BROCON!

Con la passerella sono finalmente giunto nel comune di Lamon, famoso per i fagioli e per essere stato il primo comune della regione, seguito a ruota dal vicino Sovramonte e dai 7 Comuni, ad aver votato per l’uscita dal Veneto e l’unione col Trentino; chissà che un giorno, dopo la guerra di secessione americana fra nordisti e sudisti, non leggeremo sui libri di storia della “Guerra di secessione dei Fagioli” tra Lamon e il resto del Veneto!
Mere ragioni di “schei” sono alla base di questi gesti clamorosi: la montagna veneta soffre il confronto con il dirimpettaio trentino, autonomo e ricco di agevolazioni e finanziamenti pubblici.
Effettivamente non si può non notare la differenze quando si passa da una regione all’altra: tanto le zone montuose venete appaiono modeste, dimesse, a volte trascurate o addirittura abbandonate a se stessa, quanto in Trentino tutto o quasi è bello, curato, incantevole; di mio preferisco il fascino un po’ decadente della montagna veneta (oltre alla possibilità di fare fuoristrada con meno problemi che nel Trentino!) che il sapore di “pappa preconfezionata per il turista” di certe località trentine; immagino però che per chi ci viva veramente  in montagna sia dura, e la differenza sia una beffa.


La valle del Brocon

Queste sono le riflessioni che mi accompagnano mentre risalgo il nastro asfaltato verso San Donato, ultimo borgo prima della salita al Brocon; è una valle boscosissima, verdissima, profondissima: sull’altro versante si vedono paesi e contrade, ma mi immagino che un tempo, quando c’erano solo i piedi e i muli come mezzi di locomozione, quelle contrade fossero più lontane dell’America, per chi abitava su questo versante della valle.
Perso in queste riflessione cultural-storico- geografiche arrivo a San Donato, e al termine dell’asfalto; un polveroso sterrato diparte da un tornante, è il Brocon! Al terzo tentativo, dopo centinaia di km percorsi, finalmente ci sono, e me lo gusto tutto, km per km i 13, sterrati km della salita, fermandomi a fare poche foto, per non rompere l’ascesa.
Che dire di questo percorso? Da altri è stato descritto con più poesia e bravura di me (
http://www.endurostradali.it/scheda_uscita.php/id_cat=5/id=34); posso dire che, come tutte le cose a lungo inseguite, nel momento del raggiungimento il fascino si affievolisce: si insiste tanto ma poi ci si domanda se ne valeva la pena…di sterrati ne ho percorsi di più belli, in Veneto e fuori, ma la salita al Brocon è comunque da fare.
La valle che si percorre è a dir poco selvaggia, chiusa da alte montagne di cui la foresta non riesce a raggiungere le cime, lasciando emergere le nude rocce, cn gli strati geologici visibili a km di distanza.


Sterrata del Brocon

La sterrata inizia pianeggiante, col fondo di ghiaia fine, rimanendo alta sul torrente; ci si inoltra sempre più nella montagna, mantenendo le bianche pareti alla destra, finché la carrabile sbatte il  muso sulla roccia a piombo, e la affronta con una serie continua di tornanti, sempre ampi, ma dal fondo ora di ghiaia più grossa.
Salendo la strada si restringe, ora il torrente non è più in basso, ma pochi metri sotto la strada; la sterrata carreggiabile da quasi tutti gli automezzi si riduce ad una mulattiera un po’ più larga della media, con numerose lastre di roccia e radici sul fondo, adatta solo a moto, trattori e fuoristrada.
Ed infatti c’è un cartello che vorrei vedere sempre, ma esiste solo nei sogni, tranne che qui al Brocon:”Divieto di transito eccetto mezzi agricoli, moto, fuoristrada”!!!!!!!!!!!
E la salita continua, continua, i traversi tra i tornanti si fanno corti, poi dopo lunghi minuti il fondo migliora riappare un larga carreggiata dal fondo ghiaioso, sono gli ultimi tornanti nel bosco prima di scollinare con lunghi rettilinei nei pascoli sommitali: ecco apparire un nastro di asfalto e delle costruzioni, è il passo Brocon.
In se stesso il passo non è per nulla affascinante: ci sono un paio di ristoranti alberghi dove fervono i lavori di restauro per la stagione invernale, un obelisco a ricordo di una tragedia militare, pascoli a sinistra e una montagna verdeggiante a salire a destra: niente più.
Ma la metà non ha importanza, è solo una scusa per mettersi in viaggio, quello che conta veramente è tutto quello che c’è stato tra casa e questo luogo!
Panino e caffè, e riprendo la strada.   


Sterrata del Brocon


Dio c’è!


Monumento a passo Brocon

L’ASCESA AL VEDERNA

Avevo in progetto di scendere di nuovo verso il lago del Senaiga, cercando sterrate più o meno legali attraverso il Tesino e il Celado, per poi da Lamon portarmi verso il Vederna, ultima fatica della giornata; ma, orologio al polso, mi restano solo 3 ore di tempo, e 2 di luce; dal Brocon posso scendere in un baleno a Canal San Bovo, e da lì tramite tunnel portarmi velocemente verso il Vederna. Abbandono quindi l’ipotesi Celado e scendo dalla parte opposta per asfalto.
La prima volta che ho letto il nome “Vederna” è stato in un 3D di Massimo_s, il D-Istruttore Enduro, in cui diceva che voleva fare il Vederna sterrato e invece aveva fatto il Perer, o un altro posto; pensavo ad un refuso, che gli si fossero incrociate le dita sulla tastiera e intendesse il Verena in comune di Roana; in seguito ho capito che il Vederna è un’altra località, la individuavo sulla mappa e la vedevo nei cartelli stradali durante una gita a Fiera di Primiero.
Si tratta di un monte di poco più di 1.500 metri che domina la piana di Imer e Fiera di Primiero; pare quasi impossibile che nel talebano trentino anti fuoristrada ci possa essere un percorso off degno di questo nome! Il D-Istruttore, in un altro 3D, mi aveva consigliato di andarci e di affrontare la salita dal versante di Imer, testuali parole:” perche è un ciotolato scivoloso. farlo in salita col bagnato è gia una impresa, farlo in discesa è molto rischioso…”.
“Sehhh, il solito Massimo_s, per magari 30 metri di acciottolato ti fa fare il giro all’incontrario!” burbanzoso pensavo; ma poi una vocina mi diceva di ascoltarlo, che non si sa mai…e poi attraverso il tunnel si arriva giusto ad Imer, quindi…
Eccomi perciò ad Imer, cercante il bivio per questo monte; il solito cartello bianco marrone di località ad interesse turistico mi dirige verso la pineta alla base del pendio ripidissimo cadente nella piana del torrente Cismon, ma, quando termina l’asfalto ed inizia il famoso acciottolato, c’è una transenna col cartello di divieto! Sono arrivato troppo tardi? No: una ordinanza comunale spiega che c’è stata una frana e per lavori in corso l’accesso è interdetto, pena le contravvenzioni del caso.
Cosa fa l’endurista in questo caso? Passa a lato della transenna e sale deciso la mulattiera, confidando che alle 17.00 gli eventuali operai e vigilanti siano già nelle osterie a celebrare e la fine del lavoro quotidiano.
Ebbene, più salgo più mi dico sei un coxxxne, sei un  coxxxne, sei un  coxxxne! Questa favolosa mulattiera, larga un paio di metri e dall’acciottolato in perfette condizioni, in alcuni punti rinforzato da cemento, percorre il bosco con pendenza costante e notevole, guadagnando quota con numerosi tornanti. I grossi tasselli del T63, spinti dai bassi linerari del Ducati 750, lambiscono i ciottoli senza slittare e senza rovinare il fondo, ma, qui, in discesa, con l’umido o anche senza, con lo stradale o anche con la moto racing, accarezzare il terreno con una caduta è una eventualità tutt’altro che remota!


La Cagiva nel cono d’ombra del Vederna, Imer illuminata dal sole pomeridiano

Dopo aver guadagnato molti metri di dislivello dal fondovalle, il bosco si fa rado e fra le rame si vede Imer incendiato dal sole tramontante, mentre la vicina val Noana è sommersa nel cono d’ombra del Vederna.
Ma, allo stupore per il paesaggio, si unisce lo stupore che questo percorso, divieto per frana a parte, sia agibile ai mezzi motorizzati; solo le moto e i piccoli mezzi agricoli penso riescano a salire di qui, una Panda non so se ci riuscirebbe…incredibile che proprio in Trentino esista ciò!
Salendo la mulattiere penetra nell’impluvio della val Noana, ora direttamente aperta nella roccia verticale del pendio; ma la meraviglia assoluta è ancora a venire: uno spalto di roccia pare fermarne l’ascesa, ma con un tris di tornanti la stradina entra nella montagna, sotto una balza prominente, supera così il verticale ostacolo ed entra in una gola strettissima, percorsa da un rivolo d’acqua che poi precipita in cascata.
Mitraglio di foto la zona con la digitale, uniche prede dei miei giri in moto, e col cuore pieno di meraviglia continuo a salire.


La mulattiera in costa


Gli incredibili tornanti incastonati nella montagna!


Cascata


Il tornante nella roccia

La mulattiera, qui dal fondo cementato, confluisce in una sterrata carrozzabile, dove ritrovo il divieto per frana; ne percorro poche centinaia di metri e arrivo in un pianoro che ci fa capire perché la vecchia Heidi voleva stare col nonno in baita e non in città dalla zia:


Le Pale di San Martino


Il pianoro del Vederna al tramonto

Tante piccole baite punteggiano il pascolo, di qualcuno il camino fuma e ci sono auto all’esterno; ma c’è gente che vive qui? Impossibile, forse si fanno la stagione, di sicuro non soffrono del traffico e dei rumori!
La discesa sull’altro versante del Vederna è più normale, se così si può dire uno sterrato lungo 10-12 km, su cui andare calmini calmini, dato che alla destra c’è un dirupo di cui non se ne vede il fondo!


Autunno sul Vederna


La strada e il burrone.

È l’imbrunire quando raggiungo la S.S. di fondovalle; mi aspettano ancora molti km, abbreviati dai tunnel, attraverso il feltrino e il Canale del Brenta, fino alla pianura e la casa: non faccio in tempo ad estrarre la chiave dal cruscotto che ripartirei immediatamente per lo stesso giro!

Ciao
Alves




MartY


matteo.bzz




NEL DUBBIO TIENI APERTO.....

Vale


Frasca

Bello bello bello..................quando ci andiamo insieme?

navaho

#5
Dai che vengo anch'io.... :P :P :P
Bravo Alves, sempre in ottima forma letterario-storico.poetica
:sole: :sole: :sole:

P.S. neanche a me il Brocon era particolarmente piaciuto, ricordi ? ....

alves

P.S. neanche a me il Brocon era particolarmente piaciuto, ricordi ? ....

Si, ma tu avevi fatto l’asfalto, se non ricordo male!!
I  13 km sterrati che salgono da Lamon sono molto belli, anche se nel Triveneto ci sono itinerari più spettacolari.

Ciao
Alves

Lancillotto

Se proprio devi comprare una moto da enduro... compra una XR! Ricorda, l'asfalto è ruvido e grattugia anche d'estate: usa le protezioni!

gianpivr

Complimenti, sempre un ottimo racconto, sembrava di esserci!!!
L' unico modo per sfuggire alle tentazioni è cedere... -O. Wilde-