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[Off-Road] WATER-LOO in Trentino (By Alves)

Aperto da Webbo, Dicembre 14, 2004, 19:40:59 PM

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Webbo

WATER-LOO IN TRENTINO


PREMESSA

Waterloo, o se preferite Caporetto, El Alamein, Stalingrado, insomma una sconfitta bruciante, devastante, e Water perché alla fine ero ridotto e mi sentivo proprio come un water!!

Giovedì e venerdì ero a Cagliari per lavoro, il sabato un giro enduro all-day-long sarebbe stato troppo; ma siccome la voglia di sgomme era troppa, mi organizzavo una uscita mattutina, promettendo alla mia dolce metà di rientrare per pranzo, in modo che alle 14, fine del suo turno, mi facessi trovare pronto per una gita assieme.
Mai promessa fu così vana!

IL MANTOVANO VOLANTE

La mia meta è la Vallarsa, versante trentino del monte Pasubio, zone di caccia di Sandro, l’ultra-manico mantovano già protagonista di una massacrante uscita nelle stesse zone nell’ottobre 2003, uscita che aveva visto il mio amico Diego gettare la spugna in tre mulattiere su tre, risparmiandomi la figuraccia, dato che anch’io avrei ceduto 5 minuti dopo di lui!
Ma la voglia di farsi del male è un impulso irrefrenabile per il vero endurista, e perciò lo contattavo nuovamente per un giro assieme: appuntamento in quel di Trambileno, all’inizio della Vallarsa, quindi a quasi 50 km da Schio; obiettivo: girare attorno al Col Santo e zone limitrofe, vietatissime.

IL BELLO DELL’ENDURO

Alle 7.38 A.M. sono già in sella, alle 7.42 imbocco il primo sterrato; per una tortuosa sterrata guadagno il crinale tra la Valleogra e la Valle dell’Agno, per carrarecce e facili mulattiere lo seguo fino al paesino di Staro.
Il terreno è umido dalle piogge dei giorni precedenti, ma il fondo drena molto e si presenta compatto, nessun problema, grande soddisfazione nella guida, fluida e scorrevole.
Da Staro raggiungo il passo di Campogrosso per una bella mulattiera: la prima parte è una linea che sale obliquamente il pendio, con alcuni strappi su scalini di roccia molto divertenti ed impegnativi; la seconda parte guadagna decisamente quota con stretti tornanti fino ai pascoli sottostanti il gruppo del Sengio Alto, aprendosi sul meraviglioso scenario delle guglie e delle pareti dolomitiche del monte Baffelan, del Cornetto e dei Tre Apostoli.
Il passo, 1400 e rotti m.s.l.m., è già affollato di escursionisti ed alpinisti; l’aria è a dir poco frizzante, il cielo è terso, bellissima veduta a volo d’uccello su tutta la sottostante Vallarsa.
Imbocco cauto la vietatissima Strada di Malga Siebe: è un troncone semi-abbandonato, in parte asfaltato, poi sterrato, che bordeggia  canaloni e boali sul versante Est del Massiccio del Carega.
Scruto l’orizzonte per avvistare le guardie, non ne vedo e scendo lentamente a motore spento; i canaloni del monte sono ancora ingombri di neve, lunghe lingue bianche tra i grigi pinnacoli di roccia; vedo alcuni sci-alpinisti risalire lenti il monte, che emozione dev’essere poi la loro discesa fra questi dirupi, altro che seggiovie e piste battute come un biliardo!
I cazzi arrivano con le prime lingue di neve sulla strada: le prime sono rimasugli addossati al pendio, facilmente sorpassabili a valle; ma poi, nei pressi di un ampio canalone mi trovo di fronte un cumulo alto almeno un metro, largo tutta la strada, lungo almeno 5; incredibile, sono al di sotto dei 1500 m.s.l.m., non credevo ci fosse ancora neve! Per fortuna la coltre è compatta e ghiacciata, regge il peso dell’XR, accompagnata a mano, e supero l’ostacolo.
Ma gli ostacoli maggiori li trovo sul tratto sterrato; l’ennesima lingua di neve, spessa diversi metri, attraversa la strada e prosegue a valle della stessa;la strada è sostenuta da un robusto muraglione di pietra, impossibile da risalire; anche qui accompagno lentamente la moto, sperando di non scivolare.
L’ultima lingua di neve è la più spettacolare: anch’essa invade tutta la sterrata e al centro è spaccata da un crepaccio da cui fuoriesce il torrente; spingo la moto fin sull’orlo e la faccio scivolare dentro il torrente: accidenti, sono sotto il livello della neve, il torrente esce da un vero e proprio tunnel di ghiaccio, che situazione surreale essere qui in moto; sfruttando una minuscola traccia sgombra dalla neve raggiungo la strada libera.
Rapidi trasferimenti su veloci sentieri e carrarecce mi fanno guadagnare l’imbocco della valle; scendo a motore spento un sentiero immerso  in una pineta, e il cik-cik degli aghi di pino frantumati dai tasselli sono la mia sola compagnia; supero la diga di Busa e il suo lago verde smeraldo; scollino per il torrione dove c’è il vecchio forte Pozzacchio;  un camoscio, spaventato dal motore, salta sullo sterrato, mi taglia la strada e si tuffa nel bosco sottostante con sveltezza e potenza fenomenali: non pensavo che scendessero così in basso.
Trovo pure il tempo di fermarmi al bar e gustare bibita e panino sulla terrazza al sole, sto da papa, ma non durerà.


UNA SIMPATICA COMPAGNIA

Raggiungo Sandro con lieve ritardo; non è solo, con lui ci sono 2 VR, uno col K450, l’altro col 520; Sandro è col WR 426, bellissimo (il WR, non Sandro!).
Questi sono cattivi, e mi guardano storto: sia loro che le moto sono tiratissime, sembrano pronti ad entrare in speciale, solo maglia da fuoristrada, minuscoli marsupi, no zaini, mini targhe di plastica.
Già l’XR di suo non ha un look così aggressivo, poi la mia ha: targa e relativo portatarga originale, che ci si potrebbe fare un parafango con tutta quella plastica; il paracoppa home made che ha le dimensioni di una scialuppa di salvataggio del Titanic,; infine, per distruggere del tutto l’aspetto racing della moto, ho fatto fare al tappezziere un borsello posteriore formato XXXL, 35x15x15 cm, esteticamente è orrendo ma ci posso mettere dentro di tutto.
Io poi, oltre alla giacca, ho pure lo zaino camel back con ancora altra officina annessa.

IL BRUTTO DELL’ENDURO

Partiamo come razzi per asfalto, la differenza di cv è abissale, impressionante
L’allungo degli altri all’uscita del tornanti asfaltati.
Si inizia subito a fare sul serio: Sandro ci anticipa che sul sentiero che stiamo per imboccare ci sono 2 tornanti strettissimi da fare in successione, pena l’immolazione subitanea in loco; restiamo in religioso silenzio per sentire se è passato, il rumore del WR si allontana sempre più, parto per secondo, la pendenza è notevole, poi arrivano quando meno te l’aspetti i 2 tornantini, li passo agevolmente e poi anche gli altri.
Il sentiero guadagna rapido quota con lunghe rampe, il fondo è duro, pietre fisse e sassi rotolanti, ma fin qui tutto bene; poi infiliamo delle scorrevoli sterrate, facciamo molto casino, diamo tanto gas, forse troppo casino per i paesini alla villaggio svizzero che attraversiamo.
Siamo su asfalto, appena dopo un ponte che supera una angusta valle, la Valle dell’Orco: io ho paura degli Orchi!
Sandro ci fa “di lì”, lì dove?
Il lì è una labile traccia che entra nel bosco; lui parte a razzo, sembra che segua le rotaie del filobus; per noi 3 sono cazzi, la traccia è larga come la ruota, ma però anche completamente nascosta dalla rigogliosa vegetazione del sottobosco, più che seguirla dobbiamo intuirla! Ogni tanto rallento e guardo in su, in mezzo alla foresta, per vedere dove sono gli altri e farmi un’idea di dove passare.
E finalmente si spinge! Ci piantiamo tutti in una micro piazzola in piano tra 2 strappi assai ripidi: bisognava farli uno di seguito all’altro, ma Sandro non si ricordava questi 2 metri del percorso! Ripartire da fermi è un casino, qui il fondo è completamente diverso da prima, soffice terriccio che la gomma scava; i VR iniziano la litania che accompagnerà tutta la nostra gita “qua va su solo il primo, gli altri col ca**o!” e ci hanno ragione!
Riusciamo tutti a ripartire,e con orgoglio posso dire che con l’XR ho tribolato meno che i ragazzi col K, stavolta è meglio avere 30 piuttosto che 50 cv;  a parte questo, in sella spingono tutti come matti, hanno manico!
Il ritmo e l’impegno del sentiero fanno sentire ben presto la fatica, ma il peggio sta per arrivare.

LA DISFATTA DEL PILOTA

Raggiungiamo una strada sterrata, che percorriamo per breve tratto fino ad uno spiazzo: di fronte una traccia affronta il bosco per la massima pendenza, uno alla volta ci lanciamo su, distanziati uno dall’altro.
Nel primo tratto questo sentiero assomiglia all’altro, sottobosco di humus e terriccio, poi confluisce in un altro e la scena muta ancora: è la tipica mulattiera a “trincea”, infossata nel terreno, racchiusa da pareti invalicabili; la pendenza non è elevatissima, ma il fondo è tremendo: sassi, sassi, sassi, grossi, grossissimi, immensi, smossi, instabili, un torrente si pietra che ci scorre contro; la  forcella scarta continuamente, la ruota motrice non riesce a trovare un appiglio a cui aggrapparsi, e, quando smuove tutti i massi e tocca il fondo, trova lastre di pietra umida su cui scivola.
In sella ballo la macarena, giro il manubrio all’impazzata come sui dischi volanti del luna park, cercando di parare i colpi, le gambe rimbalzano da un sasso ad una sponda, cercando di mantenere il precario equilibrio e magari spingere in su il mezzo.
Non si dovrebbe guidare così, qui bisognerebbe stare sempre con i piedi sulle pedane, caricando all’impossibile il posteriore, tenere saldamente il manubrio, la ruota anteriore dovrebbe essere granitica come la prua di un rompighiaccio, salire veloci e superare di slancio gli ostacoli, ma, cazzarola, questa mula è lunga 2 chilometri, come si fa a farli di slancio? E poi io sono abituato a fondi più stabili, dove posso salire lentamente, sfruttando i bass:i dell’XR e pedalando con le gambe.
Ma Sandro lo fa, nemmeno sappiamo dove è arrivato.
La mia corsa termina su una lunga serie di gradoni in sequenza: i primi riesco a farli, ma una pianta semi spezzata mi costringe a prendere una traiettoria sfavorevole; mi pianto su un gradino, metto la moto al fianco, con uno sforzo immane supero l’ostacolo ma sul successivo mi blocco, cerco di ripetere la manovra a spinta ma sono esausto, la moto mi crolla di lato, addosso alla spalla della “trincea”.
Resto da solo per minuti, finalmente arrivano i 2 K, pure loro belli provati, e si fermano.
Nemmeno tentiamo di ripartire, io sono distrutto dalla fatica, gli altri non hanno nessuna voglia di spingere e continuano a lamentarsi “ un’ora che siamo partiti e solo 11 km fatti” ”qui sale solo il primo” “vorrei vedere se Sandro fosse lui dietro” .
Finalmente Sandro ricompare e vista la mala parata, ci fa tornare indietro, per la variante “facile”.

L’UMILIAZIONE DEL PILOTA

Ridiscesi alla sterrata, la risaliamo per alcune centinaia di metri, dove la abbandoniamo per una insignificante traccia.
Questo sentiero invece si rivelerà stupendo: sale, sale, sale la montagna, con lunghi tratti rettilinei abbarbicati al pendio, raccordati fra loro da strettissimi tornanti, ad angolo acuto, tutti da chiudere “en volèe”, impennando la moto; qualcuno mi riesce bene, manovra da manuale, in altri sbaglio al cm e mi tocca riallineare di peso la moto al successivo rettilineo.
Viaggio per ultimo, molto staccato dagli altri, che mi stanno aspettando ad un bivio, dove la traccia si collega ad  uno dei famigerati sentieri che nell’ottobre precedente avevano messo alle corde Diego e me.
Anche questo sale in “trincea”, poi si apre nel bosco ma il fondo resta sempre bastardo, foglie marce sopra sassi viscidi; il K che ho davanti si incasina, a mia volta mi fermo; lui cerca una via alternativa nel bosco, io tento di ripartire, guadagno un metro ma cado; tutti i tentativi di salire sono vani, più mi sforzo più scivolo indietro; Sandro mi tiene la moto ma non riesco nemmeno ad avviarla, si offre di portarla su lui e senza un rimasuglio di orgoglio gliela affido; torna all’inizio del tratto bastardo e senza apparente sforzo lo supera.
Unica consolazione, su mia domanda, mi dice che ho delle buone sospensioni!

LA DISFATTA DEL MEZZO

Finalmente usciamo dal bosco nei pressi di una malga; siamo adesso in alta quota, ma gli alpeggi estivi sono ancora in parte ricoperti da neve, incredibile.
Saliamo per la sterrata che conduce al Rifugio Lancia, ma non manchiamo di evitare le spirali dei tornati per dei tagli nel pendio; in uno di questi cado malamente e preferisco tornare sulla sterrata e fare il giro lungo.
Arrivati al Lancia ci si presenta uno spettacolo stupendo: i lunghi dossi e le profonde doline dell’Alpe Pozze sono ancora abbondantemente chiazzati di bianco: lo stesso panorama che avevamo visto a metà ottobre ci si ripresenta, solo che siamo al 29 maggio, un lungo lungo inverno.
Nostra intenzione è scendere sull’altro versante del Pasubio, in Val Terragnolo, ma la mulattiera di guerra è ingombra per decine di metri di neve; cerchiamo di aggirare l’ostacolo con fuoripista fra le doline, ma non c’è niente da fare, dobbiamo rinunciare: se c’è tutta questa neve sul lato assolato del massiccio, figurati quanta ne resiste sui rovesci.
Quindi riprendiamo in discesa la sterrata di prima, ovviamene con tutti i tagli dello sterrato; all’uscita di uno di questi sento la moto oscillare in modo strano, forse con tutte le cadute ho piegato manubrio, forcelle, telaio?
No, ho bucato!
L’anteriore è mezzo sgonfio (poi scoprirò che ho effettivamente pizzicato la camera) ma il posteriore è proprio a terra.
Sono l’ultimo, gli altri sono corsi via; con calma studio il da farsi, vedo un barbecue in cemento che potrebbe fungere perfettamente da cavalletto, ci isso sopra l’XR, smonto la ruota e sostituisco il pneumatico.
Proprio al momento del gonfiaggio arrivano gli altri; ho delle bombolette di aria compressa da usare inserite in un erogatore che fa la funzione anche di mini pompa, lunga una spanna e larga 3 cm; l’ugello è sia per bici che per moto, il negoziante mi aveva detto che con una si gonfiava la bici, con 3 la moto: col ca**o, ne sparo 2 ma non succede niente.
Provano anche gli altri, smontiamo la pompa e la rimontiamo ma bomboletta dopo bomboletta le svuoto senza esito e mi ritrovo con la gomma a terra; provo a gonfiarla con la mini-pompa, ma la quantità d’aria erogata a pompata è minuscola, farei prima scoreggiandoci dentro! E poi temo che, essendo fatta tutta in plastica dozzinale, si sia rovinata e non assicuri più la tenuta: infatti parte dell’aria compressa delle bombolette sfiatava sul cerchione, congelandolo per qualche istante! E si che una volta che un compagno aveva bucato con pazienza era riuscito a gonfiarla con questa pompa.
Che fare? Nessuno dei miei ingarellatissimi compagni ha bombolette o pompe, ovviamente hanno tutti la mousse; Sandro mi propone di scendere dalla mulattiera di Foxi, che sbuca a 2 passi dall’unico benzinaio della Vallarsa: “ca**o dici Sandro, mi butto giù per una mulattiera bastarda che non sappiamo nemmeno se sia percorribile, e se dopo dobbiamo tornare su?”
La storia si ripete: nello stesso punto dove 9 mesi prima io e Diego avevamo abbandonato la compagnia di Sandro, stavolta sono io a dividermi da loro e scendere mestamente solo a valle.

L’UMILIAZIONE DEL MEZZO

Lentamente scendo gli ultimi km di sterrato fino alla prima contrada, dove vedo posteggiata una Africa Twin: forse hanno un compressore! Ma non ce l’hanno, e nemmeno gli altri abitanti della contrada.
Che fare? Sono a oltre 15 km da Rovereto, dove ci sono i distributori ed anche un paio di amici,ma sono a 50 km da casa, sono le 12.40, alle 14.00 ho l’appuntamento con Mariella; ragiono fra me e me che il tempo che impiegherei a scendere in città è lo stesso che occorre per risalire fino ad Anghebeni, a metà Vallarsa, dove c’è l’unico distributore della valle; ho buone possibilità che sia aperto, il sabato pomeriggio il traffico di moto sportive e di turisti è maggiore del traffico di tutto il resto della settimana, sul versante veneto l’unico distributore della valle è sempre aperto il sabato pomeriggio; indi per cui mi dirigo verso Anghebeni.
La mia marcia è veramente penosa: la moto è ingovernabile, vado a passo d’uomo ma anche così oscilla talmente tanto che più volte rischio di cadere dal ciglio dell’asfalto, nella canaletta a fianco.
Incrocio decine di motociclisti di tutte le marche e di tutte le razze, fermi ai bar, nei parchi, mi superano, mi vengono incontro, ma nessuno che si fermi per chiedermi se ho bisogno; passa perfino mio fratello con la sua nuova fiammante ZXR verde, ingarellatissimo in mezzo ad un gruppone di supersportive; mi vede, mi fa un cenno, e tira dritto; si giustificherà dicendo che non poteva fermarsi sennò perdeva il gruppo: tradito anche dal proprio sangue!
L’unico samaritano della situazione è un extra-comunitario in auto che mi affianca e mi avverte che ho la gomma bucata: lo ringrazio e se ne va, felice della sua buona azione quotidiana.
Ad Anghebeni trovo il benzinaio chiuso, l’ho presa nel culo, il prossimo è a 30 km, in Veneto.
Salendo verso il passo del Pian delle Fugazze sono preso da lancinanti crampi alla schiena, veramente dolorosi, gli sbalzi di temperatura di questa giornata mi hanno dato il colpo di grazia.
Quando raggiungo il benzinaio di Valli del Pasubio è ormai troppo tardi, ho macinato del tutto le gomme e gonfiarle è vano.
Finalmente alle 14.40, dopo 2 ore per 50 km, sono a casa, ridotto ad uno straccio.
Mariella ha la bella pensata di andare al Santuario di Monte Berico con la madre ed io, sbalzato dalle nevi perenni (non proprio ma ci stava) dei 2000 m.s.l.m. del Pasubio ai 200 afosi, calorosi, pesanti m.s.l.m. di Vicenza sono al limite del collasso, non basterebbe una endovenosa di caffè a tirarmi su, praticamente sono un water-man.

WATER-LOO REPRISE

Nonostante tutto, l’invito di Paolo ad onorare la Festa della Repubblica, mercoledì 2 giugno successivo, con un giro in moto al mattino, mi spinge a ripristinare al più presto il mezzo ed ogni ritaglio di tempo mi adopero per lo scopo.
Il lunedì ho già comprato la classica pompa a pedale con attacco a sicura con levetta e manometro: 5 minuti e gonfi la gomma a 2 atm.
Il martedì ho le camere nuove, rinforzate, e le monto.
Il mercoledì alle 8.00 Paolo arriva da me che ho appena finito di serrare i bulloni delle ruote.
Come razzi partivamo verso la Guizza, un bosco che ricopre gli ultimi lembi collinari del paese di San Vito; è una “naturale” speciale di enduro, un labirinto di sentieri e carrarecce che si intersecano fra di loro, prevalentemente su terra, fangosa, collosa, con profondi solchi, discese e salite da ribaltamento, curvoni in appoggio di pura libidine.
Oggi è ancora peggio per il temporale della notte, ma noi andiamo a palla; dopo un’ora di intesa goduria abbandoniamo la zona per un sentiero espressamente vietato: c’è del filo spinato a terra, me ne accorgo e scarto a lato saltando il muretto, Paolo invece ci passa sopra.
Il mio amico si agita, teme di aver bucato, ma invece, 10 minuti dopo, sono io che sento di nuovo quella inconfondibile sensazione come di scodinzolamento: ho di nuovo bucato il posteriore!
Le bestemmie e i porchi che ho tirato si sono sentite a 20 km di distanza, ove hanno fatto suonare le campane di MonteBerico; medito il ritiro, ma grazie all’appoggio morale e materiale di Paolo mi cambio la camera d’aria, un copertone da cross rinforzato, ma lo stesso pizzicato, e ci metto l’unica sostituzione a mia disposizione, una anteriore standard.
La gonfio a 1,5 atm, è tutto a posto, sto per ripartire quando la lente dell’occhiale da vista mi casca sul naso e a momenti non si spacca cadendo: porca… ho perso la vite della montatura, senza occhiali non vedo una pippa.
Per fortuna ho un filo di ferro abbastanza fino da passare nell’asola, e abbastanza duttile da avvolgere, e riesco a serrare la lente nella sua sede con questo accrocchio.
Ripartiamo a razzo verso l’altipiano carsico del Faedo, dove protagonista è la roccia spigolosa ed appuntita, facciamo delle mule belle toste, purtroppo molte sono impraticabili dagli smottamenti e dagli alberi caduti durante l’inverno.
In una volata su sterrato perdo lo specchietto, come un segugio torno sui miei passi a cercare l’osso e per fortuna lo trovo, mezzo sepolto nell’erba.
Poi è la volta della benzina: mi ritrovo a secco, sacrifico la borraccia, ricordo del passaggio del Giro d’Italia a Schio, per non spingere la moto per km, e prelevo la benzina da Paolo.
Ci salutiamo al benzinaio, passo all’auto lavaggio e poi nel portico di casa, per le ultime operazioni di stivaggio del mezzo; sennonché a momenti l’XR si schianta per terra e l’afferro per il manubrio: anni di pedate per avviarla, per sgolfarla avranno criccato le saldature fra il fazzoletto di lamiera che regge il cavalletto e il montante del telaio e Paolo, tenendola sollevata con tutto il peso sul cavalletto, mentre cambiavo la ruota, le ha dato il colpo di grazia.
Mi era successo anche con l’XR600, speravo che il 400 resistesse di più, vista la struttura all’apparenza più massiccia: che delusione!!
Ma le mie moto sono come l’araba fenice, se il mitico volatile risorge dalle sue ceneri, io le rimetto sempre insieme dai loro tocchi rotti: denudata dell’impianto elettrico, 2 giorni dopo è già nell’officina dove lavora mia mamma per essere saldata e riverniciata; solo 2 parole sui meccanici di questa officina, in particolare i carrozzieri: sono 13 anni, dalla prima caduta col 125 in cui avevo grattato le fiancate, che mi danno una mano a carteggiare, riverniciare, lucidare, saldare: GRAZIE!
E oggi, martedì 8 giu. 04, per merito loro, l’XR è già pronta per la prossima avventura: stanotte notturna sui  famigerati Colli Euganei, assieme alla F.E.P., i Fratelli Enduristi Padovani, Ciak e Andrea, per giocare a guardie e ladri con le guardie del parco.

Ciao
Alves



Per cortesia non contattatemi in privato (via PM o mail) per aiuto o consulenze tecniche, postate pubblicamente, e se vi posso aiutare lo farò volentieri.